Un ricordo di Torcello
Quando gli archeologi polacchi Leciejewicz, Tabaczynski e Tabaczynska scavarono sull’isola: un passo avanti per la ricostruzione storica dei più antichi insediamenti umani nella laguna veneta
Torcello è senza dubbio una delle mie mete preferite. Così ci sono andata anche sabato, in barca con mio marito e i bambini.
Chiacchierando con Alfio, uno dei pochi abitanti e nativi rimasti a Torcello, chiedo se si ricorda di quando gli archeologi polacchi, Leciejewicz, Tabaczynski e Tabaczynska vennero a scavare qui.
“Certo!” – mi risponde, “Avevo 12 anni quando nel 1961 arrivarono i polacchi per la campagna di scavi di fronte alla Basilica di Torcello.”
Al loro arrivo venne recintata la zona che attualmente si trova sul lato sinistro del vecchio archivio. Il recinto non era troppo grande. La manovalanza era formata da una decina di uomini di Burano.

Isola di Torcello, laguna di Venezia: Vista della zona dove vennero effettuati gli scavi archeologici
Vicino alla colonna costruirono una tenda da 4 posti, una specie di tendina di quelle che si usano nei campeggi, e lì lavoravano e a volte dormivano, anche se pernottavano di norma a Mazzorbo, Alla Maddalena.
A quel tempo a Torcello abitavano 180 persone e Alfio ricorda che quando andava alla scuola elementare c’erano ancora 240 abitanti. Erano le stesse case di oggi, ma più famiglie in ogni abitazione.
Gli scavi e le ricerche iniziavano verso le 8 del mattino e terminavano alle 18.
Per mantenere lo scavo sempre asciutto si utilizzavano delle semplici pompe di sollevamento dell’acqua che venivano normalmente accese al mattino presto dal padre di Alfio che, come il nonno, lavorava nel Museo di Torcello.
Dopo circa 3 mesi la campagna di scavi venne sospesa, per riprendere l’anno seguente, nel 1962.
Fu curata dall’Istituto di Storia della Società e dello Stato Veneziano della Fondazione Giorgio Cini e dall’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte nonché da alcuni membri dell’Istituto per la Storia della Cultura Materiale dell’Accademia polacca di scienze di Varsavia (PAN) che proponeva analisi stratigrafiche e chimico-fisiche non ancora utilizzate in Italia. Inoltre i tre archeologi erano già abituati a scavare in zone umide simili a quelle delle laguna di Venezia ed altamente specializzati in scavi stratigrafici alto-medievali. I tre archeologi vennero elogiati per la loro meticolosità nello schedare il materiale, per l’impegno nell’indagine sul terreno e nel terreno nonché per la precisione e la bellezza dei disegni che accompagnavano le fotografie.
I primi strati dello scavo portarono alla luce una zona di fosse comuni medioevali databili tra il X e il XII secolo di 71 individui di popolazione locale che evidenziava tratti somatici simili, volti e nasi relativamente stretti e statura modesta.
La parte più sottostante dello scavo era databile al secolo VIII-IX e si trovava a circa 1 metro e mezzo al di sotto dell’ attuale livello calpestabile. Si trattava di una fornace per la produzione del vetro che occupava un’area di 13×18 metri circa, con quattro forni, all’interno dei quali si trovavano carboni di legna e resti bruciati, nonché frammenti di materiale in parte vetrificato. Grazie all’analisi di un mattone parzialmente fuso si scoprì inoltre che la temperatura dei forni era attorno ai 1270 gradi. Era possibile raggiungere temperature così elevate grazie alla chiusura ermetica dei forni per mezzo di uno strato abbastanza spesso di argilla.
La vetreria è databile al VII secolo d.C., periodo in cui veniva iniziata la costruzione della Basilica di Santa Maria Assunta secondo la cosiddetta iscrizione torcellana. Probabilmente la fornace venne utilizzata fino alla fine del secolo VIII.
Questi dati ci portano a capire come la produzione del vetro, già ben sviluppata a partire dal X secolo, avesse in realtà una sicura continuità storica che dalla città romana di Altino (a soli 5 km da Torcello ma in terraferma) sarebbe passata sulle isole veneziane per poi raggiungere Venezia. Durante gli scavi vennero studiati non soltanto i manufatti di pregio estetico ma anche i reperti più semplici e di uso comune.
Al termine dei lavori tutto il materiale venne spedito in casse di legno e cartoni a Varsavia, dove venne studiato grazie ad analisi specialistiche, lunghe e difficili, di tipo antropologico, ma anche botanico, zoologico, metallografico e chimico, per poi tornare circa 7 anni dopo.
Una pubblicazione del 1977 racconta i dettagli più tecnici della campagna di scavo.
Prima di salutarci Alfio mi mostra il coperchio di una delle casse dove era stato stivato il materiale di ritorno. Lo usa per bloccare la porta del suo magazzino e così me lo regala. Il legno è ormai impregnato d’acqua, il muschio è cresciuto nella parte posteriore, ma si leggono ancora perfettamente sullo sfondo grigio la provenienza e la destinazione della cassa… E così torno a casa da Torcello con il mio prezioso ricordo di archeologia.

L’isola di Torcello, laguna di Venezia: Io e Alfio con il coperchio della cassa arrivata da Varsavia
Alessia Ferrari Bravo
BestVeniceGuides
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