Gli artigiani mascareri di Venezia
Entrando in una bottega di maschere a Venezia si viene trasportati in un mondo magico, in cui mille volti dalle forme e colori più disparati sembrano osservarci nascondendo i loro segreti.

Maschere e burattini a Venezia
Nel laboratorio del mascarer troviamo le maschere protagoniste della commedia dell’arte, come quelle di Pantalone e Arlecchino, l’irriverente gnaga del carnevale popolare, ma soprattutto le intriganti bauta e moretta che ci ricordano il fascino misterioso del ‘700 veneziano.
La storia delle maschere veneziane

“Il Rinoceronte” (dettaglio), Pietro Longhi, 1751, dalla collezione di Ca’ Rezzonico, Museo del ‘700 veneziano
A Venezia era d’uso indossare la maschera non solo per il Carnevale, ma anche durante altri periodi e festività, per un totale di quasi sei mesi all’anno.
In molti si celavano dietro una candida larva(questo il nome specifico della maschera associata al travestimento detto bauta): nobili, meretrici, informatori del temuto Consiglio dei Dieci, popolani, perfino il Doge in persona.
Ci immaginiamo quindi che fossero numerosissimi gli artigiani che avevano il compito di creare queste maschere, e invece pare che nel 1773 si contassero solo 12 botteghe per un totale di 36 impiegati. Sebbene esistessero leggi sulla fabbricazione di maschere già dal ‘200, i membri dell’arte dei mascareri(tra cui nel ‘500 troviamo anche una donna) lamentavano la presenza di lavoro nero che nuoceva alla loro professione!

“Sembianza trasformata” (dettaglio), da “Gli Abiti De Veneziani…”, Giovanni Grevembroch (1731-1807)
Un brutto colpo alla produzione dei mascareri fu causato dalla chiusura, nel 1774, del Ridotto di Palazzo Dandolo, l’unica casa da gioco legale della Serenissima: poiché chi si recava a giocare al Ridotto aveva l’obbligo di indossare la maschera, la sua chiusura determinò una fortissima riduzione della richiesta.
Ma ben presto i problemi si sarebbero fatti ancora più gravi per questi artigiani: con la fine della Repubblica nel 1797 sparirà la tradizione del Carnevale veneziano, represso o fortemente limitato dal successivo governo austriaco.
La rinascita del Carnevale di Venezia
Eppure la tradizione dei mascarerinon andò totalmente perduta: abbiamo chiesto a Gualtiero dall’Osto, del laboratorio Tragicomica, di raccontarci come questa forma di artigianato artistico è tornata in vita alla fine degli anni ’70.
In quegli anni esisteva in Barbaria de le Tole il Laboratorio Artigiano Maschere, punto d’incontro di teatranti e artigiani, in cui già dal ’77 si producevano maschere secondo la tradizione veneziana. È proprio qui che molti dei futuri mascareriiniziarono a interessarsi alla tecnica e alla storia delle maschere.
Il 1980 segna una tappa fondamentale in questo percorso: il Carnevale era stato da poco riavviato, e l’edizione di quell’anno vide una vera e propria fusione tra il teatro e la città, soprattutto grazie all’allora direttore della Biennale Teatro, Maurizio Scaparro.
Con l’occasione arrivò in città anche Donato Sartori, che insieme al padre Amleto creava le maschere per importanti produzioni teatrali collaborando con artisti come Strehler, Fo, Barrault. I laboratori e le performance di Sartori mostrarono che la maschera può andare ben oltre l’artigianato ed essere vera e propria arte.

Il manifesto del Carnevale del Teatro nel 1980, Venezia
È in questo contesto che, nei primi anni ’80, aprono la maggior parte delle botteghe che ancora oggi producono le originali maschere veneziane seguendo la tradizione ma dando spazio all’innovazione e alla creatività artistica.
Come si fa una maschera?
Oggi, seppur si trovino innumerevoli negozi che vendono maschere, le botteghe artigiane in cui si esegue l’intero processo di creazione sono meno di una decina.
Ma come nasce una maschera?
Come per ogni opera d’arte, alla base della creazione c’è lo studio delle forme della tradizione e quindi un progetto che fonde queste ultime con la fantasia dell’artigiano.
Dai disegni si passa poi alla modellazione della forma in argilla da cui si ottiene il calco in gesso.
All’interno del calco vengono stesi fogli di carta che vanno poi lasciati asciugare adeguatamente.

La creazione di una bauta nel laboratorio Tragicomica

La creazione di una bauta nel laboratorio Tragicomica

La creazione di una bauta nel laboratorio Tragicomica

La creazione di una bauta nel laboratorio Tragicomica
Una volta asciugata la maschera in cartapesta viene estratta dal calco e vengono rifinite le aperture degli occhi, della eventuale bocca e i bordi. Viene infine rivestita in gesso bianco.
A questo punto la maschera è pronta per essere decorata con i più svariati colori e materiali, che possono includere anche lustrini, foglia d’oro e d’argento, tessuto, piume…

Maschere in cartapesta, Venezia
Oltre la maschera: costumi e scenografie
Per qualche artigiano però, la creazione non si limita alla maschera: specialmente nel periodo di Carnevale nelle loro botteghe troviamo costumi e accessori strabilianti, che ci permettono di trasformarci, anche solo per qualche ora, in personaggi di un’altra epoca o in creature fantastiche e bizzarre.

Il ballo in maschera, Mascheranda, Credit: Tragicomica
Con la tecnica della cartapesta inoltre si possono realizzare anche sculture e apparati scenici che, insieme a maschere e costumi, diventano la scenografia perfetta per le feste che durante tutto il periodo di Carnevale trasformano gli antichi palazzi veneziani in luoghi di sogno in cui tutto è possibile.

Un momento del ballo Mascheranda all’interno di Palazzo Pisani Moretta
Erika Cornali
BestVeniceGuides
www.wheninvenice.com
Ringraziamo il laboratorio di maschere e costumi Tragicomica per la collaborazione e per aver fornito le immagini fotografiche
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