Il crollo della Libreria Marciana in Piazza San Marco: la Repubblica di Venezia e l’architettura all’antica

Mar 18, 2019architettura, arte, personaggi illustri0 commenti

 

Il 18 dicembre 1545, quando la costruzione della Libreria Marciana in Piazza San Marco a Venezia era giunta alla quinta/sesta arcata, crollò rovinosamente una parte della volta a botte che copriva la sala della biblioteca.

Tiziano, Ritratto del doge Andrea Gritti, Washington D.C., National Gallery of Art , foto da Wikimedia

Tiziano, Ritratto del doge Andrea Gritti, Washington D.C., National Gallery of Art , foto da Wikimedia

La Libreria era stata fortemente voluta dal doge Andrea Gritti, che intendeva dare a Piazza San Marco una nuova immagine “all’antica”.  Perché una biblioteca? Perché i libri c’erano, tanti e preziosissimi: erano i manoscritti donati alla basilica di San Marco dal Cardinale Bessarione nel 1468, con la clausola che fossero conservati in Piazza San Marco.

Liber de causis, Lat. 288, fol. 2r, Venezia, Biblioteca Marciana

Liber de causis, Lat. 288, fol. 2r, Venezia, Biblioteca Marciana

Lì per lì erano stati sistemati a Palazzo Ducale, ma nel 1515 un decreto del Senato aveva imposto che si cercasse per quei libri un luogo più acconcio. Custodi dei libri erano stati sin dall’inizio i Procuratori di San Marco de Supra, perché uno dei loro compiti era la tutela di tutto ciò che apparteneva alla chiesa di San Marco. I Procuratori amministravano anche tutti gli immobili in Piazza San Marco di proprietà della chiesa, che affittavano per destinarne le rendite al funzionamento, alla manutenzione e ai restauri della chiesa.

J. Tintoretto, Ritratto del procuratore Antonio Cappello, Venezia, Gallerie dell’Accademia, foto da Wikimedia

J. Tintoretto, Ritratto del procuratore Antonio Cappello, Venezia, Gallerie dell’Accademia, foto da Wikimedia

Con il decreto del 1515 i Procuratori di San Marco iniziarono a essere sempre più pressati dal Senato (e infine anche dal doge), perché – oltre alla custodia dei libri – si sobbarcassero anche le spese per la costruzione dell’edificio che li doveva accogliere, e che avrebbe conferito alla piazza il carattere di un foro all’antica, sull’esempio di Roma e Atene.

Quando da Roma giunse a Venezia l’architetto fiorentino Jacopo Tatti, detto il Sansovino, che fu nominato proto di San Marco, le pressioni si fecero cogenti, e i procuratori cedettero. Certo, alcuni tra loro sentivano di tradire il loro compito istituzionale, sottraendo entrate alla chiesa per destinarle alla costruzione della nuova libreria, ma le loro resistenze furono alla fine sbaragliate.

J. Tintoretto, Ritratto di Jacopo Sansovino, Firenze, Gallerie degli Uffizi, foto da Wikimedia

J. Tintoretto, Ritratto di Jacopo Sansovino, Firenze, Gallerie degli Uffizi, foto da Wikimedia

Sansovino scelse come modello per il nuovo edificio la basilica Emilia, edificio antico che aveva attentamente studiato e disegnato nei suoi anni romani, e che gli sembrò adatto sia per la sua magnificenza, sia perché la custodia di libri richiedeva misure antiincendio. Venezia, città costruita sul fango, ha sviluppato una tecnica edificatoria fondata sulla leggerezza e sull’economia: muri sottili, solai di legno e tetti a capriate lignee, facili prede per il fuoco.

Gli antichi, al contrario, avevano costruito edifici dotati di grandi volte in muratura, e avevano saputo contenerne le spinte laterali con possenti muri di grande spessore. Edifici di questo genere costavano tanto, tantissimo, è ovvio, ma il denaro non era certo un problema a Roma, che drenava immense ricchezze da tutto l’impero.

Tivoli, Villa Adriana, dettaglio, foto da Wikimedia

Tivoli, Villa Adriana, dettaglio, foto da Wikimedia

Anche Venezia era ricca, certo che lo era, ma di una ricchezza neppure lontanamente comparabile a quella della Roma antica: qui, costruire all’antica significava nel Cinquecento in primo luogo fare i conti con gli spazi ristretti disponibili nella città medievale e con i suoi terreni malfermi, e in secondo luogo riuscire a contenere la spesa.

Venezia, Piazza San Marco, Libreria Marciana e Loggetta

Venezia, Piazza San Marco, Libreria Marciana e Loggetta

Sansovino, forte dell’autorità della sua cultura dell’antico, iniziò a costruire a partire dall’angolo del campanile di San Marco: posò come fondazione robusti zatteroni di rovere e iniziò la costruzione della volta a botte, che avrebbe coperto una sala ampia ben 11 metri. E le spalle? La Libreria è un edificio isolato, non c’è nulla che potesse fare da contrafforte, e Sansovino costruì muri sottili, con lo spessore di 1/14 della luce della sala. Secondo le regole in uso allora, era un dimensionamento adeguato a sostenere una struttura lignea, non spingente, ma non una volta, lo sapevano tutti! Lo sapeva anche Sansovino, non stiamo parlando di uno sprovveduto, e allora?

Padova, Cappella degli Scrovegni, foto da Wikimedia, Maxresdefault

Padova, Cappella degli Scrovegni, foto da Wikimedia, Maxresdefault

Volte a botte, seppure meno ampie, erano state fatte anche nel Medioevo, per esempio la Cappella degli Scrovegni a Padova; per contenere le spinte usavano allora catene in ferro, e proprio a questo espediente pensò anche Sansovino, ma con una differenza sostanziale.

La sala della Libreria avrebbe ricevuto una decorazione di straordinaria ricchezza, e Sansovino pensò forse che tanto splendore sarebbe stato offuscato in una sala attraversata da decine di catene di ferro; e poi i romani non le usavano le catene, che fare?

Venezia, Libreria Marciana, Sala della Biblioteca

Venezia, Libreria Marciana, Sala della Biblioteca

Da quello spirito ingegnoso e audace che era, si inventò un sistema di catene affogate dentro alla muratura della volta. Come lo sappiamo, se la volta è crollata? Da tanti indizi, per esempio dal fatto che catene così fatte sono ancora presenti nel portico della Libreria.

Era un espediente, un compromesso per riuscire a ricreare la magnificenza degli antichi, ma a basso costo, e si rivelò purtroppo un sistema del tutto inefficace, tanto che la volta miseramente crollò.

Sansovino, ritenuto responsabile, fu sospeso dalla carica di proto e dallo stipendio annuo e condannato a rifare a sue spese la copertura, non più in muratura, ma a capriate, ossia seguendo il sistema tradizionale veneziano.

Venezia, Libreria Marciana, incisione 1831

Venezia, Libreria Marciana, incisione 1831

Che cosa dobbiamo pensare? Che Sansovino fosse un incapace? Ma tutt’altro! Il suo era un grande esperimento tecnologico, e se oggi è facile capire che quelle catene proprio non potevano funzionare, ai tempi di Sansovino non lo era per niente: la scienza delle costruzioni come la studiamo oggi e che risolve questi problemi strutturali si sviluppa infatti solo nell’Ottocento.

Quel crollo fu per Sansovino una lezione di duro e crudo realismo: lui che all’inizio a Venezia tanto aveva osato, da quel momento comprese, per dirla con il suo amico Pietro Aretino, che “gli abiti de le architetture antiche non si confanno ai dossi de le moderne.”

Maria Colombo
BestVeniceGuides
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Fonti
Giulio Lupo, “Gli abiti de le architetture antiche non si confanno ai dossi de le moderne”: il crollo della volta della Libreria Marciana di Jacopo Sansovino, in “Rassegna di Architettura e Urbanistica” 84/85, 1995
Manfredo Tafuri, Ricerca del Rinascimento, Einaudi 1992, in particolare l’Epilogo lagunare. Jacopo Sansovino dall’inventio alla consuetudo.

Foto di copertina: Venezia, Libreria Marciana, foto di Wolfgang Moroder, Wikimedia

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