Dal volto alla maschera, dalla maschera al volto
Che cos’è il carnevale? Quale significato hanno le maschere e come sono nate? Forse le risposte a queste domande non sono scontate. Quale modo migliore allora per cercare di dare un senso al mondo alla rovescia se non entrando nei luoghi dove le maschere si animano davvero e il carnevale sembra regnare tutto l’anno? Con queste curiosità e domande e grazie a Bestveniceguides è nato un progetto di visita guidata esperenziale in collaborazione con l’Associazione Bottegavaga. Durante la passeggiata guidata racconto storie e leggende relative al carnevale veneziano e alle sue maschere: il Mattaccino, la Gnaga, la Bauta, la Moretta, ma anche il dottore della peste e infine le maschere della Commedia dell’Arte. Ma tutto questo non avrebbe davvero senso senza il rito che poi si compie nel momento il cui le maschere vengono indossate da Vanni e scopriamo insieme il mistero della maschera che vive, che diventa volto. Vanni Carpenedo e la moglie Alberta Toninato sono le anime di Bottegavaga, associazione nata nel 2016 dall’unione di attori che hanno una ventennale esperienza come insegnanti di tecniche teatrali e nella produzione di spettacoli. L’obiettivo è quello di promuovere cultura a Venezia per residenti e per un turismo culturale ed esperienziale. Visto il successo di questa proposta ho voluto intervistare Vanni e condividere così il senso di mettere la Commedia dell’Arte al centro di un’esperienza di turismo culturale che propongo durante tutto l’anno, non solo a Carnevale!

Commedia dell’arte a palazzo Malipiero, Venezia
“Ciao Vanni! Com’è nato questo spettacolo che è anche una lezione? Le maschere hanno bisogno di essere spiegate?“
“C’è il bisogno di raccontare la passione per la maschera. Le gente ne percepisce la forza, l’energia, ma manca una comprensione razionale, c’è bisogno di cuore e mente. Questo permette una valorizzazione del lavoro, della storia, della tecnica, dello studio sulla maschera. Nel momento in cui uno interpreta una maschera c’è tutto questo: movimenti, voce implicano tecnica e studio e questo spesso non viene percepito dallo spettatore, ci si ferma all’aspetto esteriore.”
“Forse è perché non frequentiamo più le maschere?”
“Abbiamo notato una diversa reazione tra spettatori stranieri che non conoscono affatto le maschere, in loro c’è meraviglia, stupore. Gli italiani invece le snobbano e reagiscono pensando che le maschere debbano uscire solo a carnevale. Non le considerano più, però succede che dopo gli spettacoli cambi qualcosa, che ci si ritrovi a dire ah!… c’è tutto questo! Alle maschere spesso si associa una conoscenza superficiale, che risale magari alle recite delle scuole elementari. Nel corso degli studi successivi si parla poco di maschere, forse se ne accenna, studiando Pirandello, ma in modo del tutto diverso; e così la Commedia dell’Arte diventa un luogo comune. Con mia moglie Alberta e i nostri allievi, invece, le sto rivalutando anche grazie a nuove maschere inventate e costruite da ogni allievo che nascono dallo spirito interno presente in ognuno di noi. La forza della maschera permette di tirar fuori energia, di trasformare la voce.”
“Ho notato che anche in spettacoli di altro genere creati da te e Alberta sembra che tu tragga forza delle maschere…“
“In effetti è così, è il viaggio moderno della commedia dell’arte: ritmo, interpretazione, movimento, improvvisazione. Leggevo da poco Goethe, il Willhelm Meister, in cui emerge il rammarico per l’abbandono delle maschere, lo dice Goethe!”
“La tua maschera è Arlecchino. Chi è Arlecchino?“
“Il mio è un Arlecchino pazzo, imprevedibile, molto veloce, che ha questa qualità o caratteristica: non riesce mai ad essere uno Zanni, volgare o grezzo. Non è malizioso, anche quando parla di cose scurrili, non ci mette malizia, è puro come un bambino. Però è pazzo, non sai mai cosa possa succedere da un momento all’altro. Così durante le improvvisazioni, a volte, Arlecchino diventa animale, canta, esplora le emozioni, riprende le battute del testo e riesce a farle funzionare. E’ sempre sopra le righe e molto veloce. Nella scena della lettera Arlecchino passa da un argomento all’altro molto velocemente e anche i suoi movimenti sono dinamici, scattosi, pieni di energia. Il mio Arlecchino è così, perché corrisponde alla mia fisicità tutta “nervi”. Ci sono Arlecchini più grevi, vicini allo Zanni, altri molto poetici, vicini a Pierrot. Ognuno ha il proprio Arlecchino. Il mio è così perché sono io.”

Maschera di Arlecchino presso Museo Casa di Carlo Goldoni, Venezia
“Dici “è così perché sono io” però descrivendolo parli di Arlecchino che è te…“
“Sì in effetti, questa seconda faccia, che è la maschera, paradossalmente mi permette di essere me stesso! Arlecchino, fa uscire la parte nascosta della mia natura. Dimentico tutto e nella sregolatezza, nella dinamicità dell’Arlecchino in scena, divento preciso come un ragioniere, così do un senso – anche se fuori dagli schemi – al mio diploma in ragioneria! E’ una magia, funziona così, è una trasformazione. Mi ritrovo in un altro mondo. La maschera ha una sua profondità, ti permette di esplorare la tua emotività, la tua energia. Ti concede, davanti a tutti, di cercare e di essere te stesso. Questo mostrarsi e essere se stessi di fronte a tutti è un rito che fa stare bene.”

Arlecchino interpretato da Vanni Carpenedo a palazzo Malipiero a cura di Bottegavaga, Venezia
“Questa energia la sente anche il pubblico e qui sta il potenziale sociale dello spettacolo-rito…“
“La maschera stessa si racconta e in quel frangente io sono il tramite tra lei e il pubblico. Quando, in questo spettacolo, Arlecchino spiega come si muove, dicendo, ad esempio, “spalle sollevate, petto in fuori, sedere indietro…” la maschera spiega se stessa, ma racconta anche me, il mio studio, la mia passione. Mi piace il passaggio dalle parti in cui racconto la nascita e lo sviluppo della Commedia dell’Arte a quelle in cui do vita alle maschere, la gente si stupisce e sento esclamare “ha cambiato voce”!”
“In effetti tu ti giri dando le spalle al pubblico che nella sala non è separato e usi quello spazio, quell’istante per trasformarti, che cosa succede in quel frangente?“
“Questa cosa l’ho imparata dall’Arlecchino Enrico Bonavera con cui ho fatto un seminario venticinque anni fa e lui aveva insegnato ad indossare le maschere di schiena. Girarsi permette di creare un rituale, è un istante in cui sei da solo con la maschera. Questa trasformazione avviene con tutte le maschere anche con quelle che mi sono lontane come il Dottore o il Capitano. Sono loro stesse che mi danno la forza di stare là, che mi rassicurano e ci sto bene, diventano altri territori da esplorare. Io sarei più un servo: Arlecchino, Brighella, oppure un Pantalone. Capitano e Dottore non rientrano nelle mie corde, ma la maschera mi tiene là. Anche se a Palazzo ci sono dei limiti di spazio scenico per alcune maschere, la spada del Capitano troppo lunga, il pavimento scivoloso, funziona lo stesso. Il Dottore usa molte parole e rime e la sua precisione linguistica crea stress all’attore Vanni, ma la maschera permette di lasciarsi andare, la dialettica del dottore un po’ alla volta mi sta facendo imparare a lavorare sulla parola, la memoria, la velocità verbale, la consapevolezza.”

Ca’ Malipiero, interni. Durante lo spettacolo di Bottegavaga, Venezia
“Le maschere del carnevale spesso hanno origine da una dilatazione dei tratti per iperbole o nascono da un ribaltamento degli stessi: l’umano diventa animale, il maschile femminile, penso all’Homus Selvaticus o alla Gnaga. C’è qualcosa in comune con le maschere della Commedia dell’Arte?“
“Le maschere della Commedia sono umane, pur non essendo volti umani, il naso potrebbe essere il becco di qualche uccellaccio, il volto schiacciato rimanda ad altri animali. Nei seminari lavoriamo anche su questi tratti animaleschi: il gallo, il rapace, il gufo, studiamo i loro movimenti. Lavoriamo sulle maschere come se fossero situate tra l’umano e l’animale. Ci sono maschere diverse da quelle della Commedia, quelle che rappresentano prototipi umani con tratti esagerati o espressioni molto caratterizzate, oppure la maschera neutra, le maschere larvali, e tutte, indossate, permettono un reset della tua identità. Un ricominciare. Perché no? E quando? Col carnevale da sempre viene data la possibilità di vivere un’altra identità, un nuovo volto! La maschera ha origini lontanissime, il suo legame con l’uomo ha qualcosa di ancestrale, gli permette di porsi nello spazio tra l’umano e il divino. E’ un mistero. La maschera permette di trovare una linea verticale di comunicazione. Fornisce una pelle sopra la propria e diventa anche un’esperienza fisica. Ci trasformiamo continuamente. La maschera azzera o rende manifesta questa trasformazione.”

Maschere in cuoio, Venezia
“Beh, così hai proprio centrato un altro aspetto di cui volevo parlare, se le maschere della commedia dell’arte hanno tratti accentuati, dall’altro lato stanno le maschere che presentano tratti annullati, lisciati fino a lasciarle anonime, penso di nuovo alla nostra tradizione carnevalesca, alla bauta-larva e alla moretta. In ogni caso la maschera è capace di operare una trasformazione e può diventare fattore scatenante di uno smascheramento, quanto è vero e attuale questo potere intrinseco delle maschere? Ritorniamo con la maschera proposta con questo spettacolo in ogni momento dell’anno ad una condizione di carnevale tutto l’anno esplorandone i contenuti storici e il potere antropologico del rituale.“
“E’ un rituale e tu attore fai questo rito per chi ti vede. Tutti potrebbero farlo, ma nel momento in cui vai a teatro l’attore è il tramite, svela una possibilità, si può fare, puoi essere altro rispetto a quello che sei. Io, attore, divento un tramite, divento un servizio, lo faccio per te. Non è circo, non è virtuosismo, non è un salto mortale. E’ una cosa umana. Non è la meraviglia, ma il confronto con una possibilità. Così nei nostri spettacoli non usiamo scene complesse, particolari giochi di luce… mettiamo al centro l’attore, l’uomo. Un rito condiviso. Carne, voce. Tu uomo sei anche questo. E’ come un tuffo che ti porta da una condizione all’altra, da un elemento all’altro.”
Grazie Vanni!
Paola Salvato
BestVeniceGuides
paola.salv@gmail.com
Translations:
Italiano