Una finestra sul Redentore

Mar 16, 2020architettura, sanità, storia, turismo, urbanistica0 commenti

 

Sono una guida di Venezia nata in terraferma, ma residente in centro storico da alcuni anni. Conosco il privilegio di vivere nella città che amo, posso osservarla, respirarla, percorrerla, toccarla ad ogni minuto del giorno e della notte. Nella fase che stiamo vivendo, chiusi in casa per evitare il contagio da Coronavirus, mi manca la libertà del viandante che Venezia mai nega.

Osservo dalle finestre. Abito alla Giudecca, in un’area trasformata e edificata verso la metà del Novecento per ospitare alloggi riservati ai dipendenti della Junghans, una delle fabbriche più grandi della Giudecca, ormai chiusa. E’ una zona di edifici residenziali, un po’ anonimi, ma meglio accessibile ai residenti in termini di costi e anche di qualità della vita nei periodi di turismo spasmodico.

Non vedo la laguna, né canali dalla mia casa al terzo piano, godo di qualche ritaglio, il tetto di Ca’ Corner lungo il Canal Grande da un angolo della terrazza, la cuspide del campanile di San Marco da una finestra rivolta a nord, il Campanile di San Lazzaro degli Armeni è visibile dalla camera a sud.

Due finestre del mio appartamento guardano ad ovest. Quando il cielo si tinge di rosa e viola all’ora del tramonto spesso ci fermiamo ad osservare meravigliati la luce fatata che risale il profilo della Chiesa del Redentore, il lungo coro, la navata con le sue finestre termali dove la luce sembra raccogliersi e condensarsi, la grande cupola dove si staglia il Redentore e i due campanili-minareti laterali.

Il tramonto sulla chiesa del Redentore, Venezia

La chiesa del Santissimo Redentore vista dal retro, dal giardino. Isola della Giudecca, Venezia

In questo periodo di emergenza sanitaria questa vista rasserena. Il Redentore venne costruito da una comunità sofferente, alle prese con una delle epidemie di peste più pesanti della storia veneziana, è una preghiera ascoltata. La comunità decimata che sopravvisse seppe ricominciare e non ha mai dimenticato il suo legame con la chiesa e con il proprio voto. La festa del Redentore è una delle feste più sentite dai Veneziani e anche quest’anno la aspettiamo, finirà la pandemia, andrà tutto bene, ci ritroveremo sul ponte votivo, in barca, lungo la riva a mangiare sarde in saor con amici e parenti.

Questa vista sul Redentore mi sorprende. Effetti di luce su un’architettura straordinaria che, in questo periodo di forzato isolamento, continua a parlare di scambi tra passato e presente, tra tradizione classica riscoperta e filtrata dagli ideali del Rinascimento e Oriente. Un dialogo costante con l’ambiente e con la storia dell’architettura, ma anche con la storia della città che dal suo legame con il Mediterraneo Orientale – e rotte carovaniere che spingevano molto più in là – ha saputo trarre ricchezze materiali e culturali per secoli.

Perché dei minareti ai lati della grande cupola?

La chiesa del Redentore, iniziata nel maggio 1577 e consacrata nel 1592, è l’unico edificio commissionato a Palladio dalla Repubblica di Venezia. Una chiesa di dimensioni monumentali che gode di una visibilità straordinaria, affacciandosi sul canale della Giudecca, dove si innalza su un alto podio e sembra capace di slanciarsi sempre più verso l’alto con la sua cupola allungata di matrice bizantina e i due campanili simmetrici.

Sezione della chiesa del Redentore di Andrea Palladio, disegno di Ottavio Bertotti Scamozzi, 1783, Venezia

Palladio combina molteplici fonti che creano un’architettura complessa, ma unitaria, un organismo fatto di parti correlate tra loro, esito di un lungo percorso e di una continua sperimentazione.

Tra queste fonti molti elementi fanno pensare che Palladio abbia attinto anche al lavoro di un suo contemporaneo, l’architetto ottomano Mimar Sinan. Nato nel 1490, quindi diciotto anni prima di Palladio, Sinan fu architetto imperiale dal 1539 al 1588, anno della sua morte, realizzò quasi cinquecento edifici, fra grandi moschee, palazzi, terme, ponti ed è considerato uno dei padri dell’architettura ottomana. Anche se i due architetti non si sono mai incontrati, una relazione tra loro è ipotizzabile non solo perché Venezia e Istanbul erano connesse da un intrecciarsi di rapporti economici, militari, diplomatici, estetici e culturali, “due grandi città sul mare, dominate dalle cupole di magnifici edifici religiosi” (Burns), ma anche grazie al ruolo di mediazione giocato da Marcantonio Barbaro. Il nobile veneziano, amico e committente di Palladio, fu ambasciatore ad Istanbul dal 1568 al 1574 e sicuramente conobbe Sinan, e fornì all’architetto turco informazioni sull’attività di Palladio, forse anche disegni o addirittura una copia dei Quattro Libri. Dopo l’uscita del trattato (1570), alcune moschee di Sinan cominciano infatti a mostrare elementi sorprendentemente simili a facciate di ville qui pubblicate.

Moschea di Suleymanie, Istanbul. Sinan and Palladio: a Comparative Morphology

Dall’altro lato, l’architettura ottomana influenzò sicuramente Palladio e lo si capisce guardando in particolare il Redentore. “ Palladio incornicia la pronunciata cupola del Redentore con campanili circolari la cui somiglianza con i minareti è sottolineata dalla cima conica. In un edificio pubblico di grande importanza ciò non costituisce certo una coincidenza. (…) L’alta cupola e i campanili gemelli miravano a riaffermare il prestigio di Venezia agli occhi degli ottomani, in un momento in cui l’immagine dello stato era stata danneggiata dalla peste del 1575-76, e poi dall’incendio del 1577 di Palazzo Ducale. La bellissima nuova chiesa alla Giudecca offriva l’occasione per farlo (…)” , scrive Howard Burns.

Un’analisi liguistica comparativa pubblicata da Buthayana Eilouti mette in evidenza molte analogie tra il Redentore e la moschea Süleymaniye, capolavoro di Sinan. Lo studio evidenzia somiglianze morfologiche, geometriche, simboliche.

Dalla mia finestra, dalla barca – attraversando il Canale della Giudecca – o dal giardino dei Capuccini sono soprattutto quei campanili-minareti di forma cilindrica e conica che richiamano con immediatezza esplicita i legami tra Palladio e Sinan, Venezia e Istanbul. Allo stesso tempo il loro slancio è espressione di  una tensione verticale che connette la terra al cielo e la loro posizione, su entrambi i lati della cupola, accentua il valore della simmetria, simbolo dell’equilibrio dell’universo.

Paola Salvato
BestVeniceGuides
paola.salv@gmail.com

Palladio, catalogo della mostra a cura di G. Beltramini e H. Burns, Marsilio, 2008
Sinan and Palladio: A comparative morphological analysis of two sacred precedents, Buthayana Eilouti, 2017.

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