San Michele in Isola: il cimitero di Venezia
Spesso passeggiando con i turisti per Venezia, una delle domande più frequenti è dove si trova il cimitero della città.
Effettivamente se ci si guarda attorno, difficilmente si può trovare un luogo sufficientemente ampio da poter essere destinato a camposanto di un’intera città. Il tessuto urbano della città che si presenta ai nostri occhi è estremamente denso di edifici civili e religiosi, calli strette e a volte un po’ tortuose… insomma la labirintica Venezia non ha molti spazi aperti ed estesi per accogliere un unico, grande luogo di sepoltura.
Ma allora, dove si trova il cimitero di Venezia?
Facciamo un salto nel passato e cerchiamo di capire esattamente dove si trovavano i cimiteri a Venezia – sì! Perché erano più di uno – e dove si trova oggi il cimitero della città.
Le opzioni per la sepoltura erano diverse e in parte dipendevano dalla classe sociale e dalle possibilità monetarie delle persone.
La prima possibilità veniva dalla Chiesa: le varie chiese parrocchiali offrivano degne sepolture cristiane sia all’interno dell’edificio che all’esterno, ma che – ovviamente – non erano uguali.
Ecco che se entriamo in una qualsiasi chiesa veneziana, possiamo ammirare delle vere e proprie opere d’arte, delle tombe riccamente elaborate, dei cenotafi magniloquenti. Sono tutti monumenti funebri di famiglie veneziane, progettati per accogliere i resti, ma anche per decantarne la grandezza, l’importanza, la ricchezza e la fama.
Uno dei tanti esempi può essere la chiesa dei Frari, nel sestiere di San Polo. Al suo interno possiamo ammirare tra i vari monumenti funebri, quello di forma piramidale dedicato al celeberrimo artista Antonio Canova e quello dedicato al famosissimo pittore della Repubblica Serenissima, Tiziano Vecellio.

Monumento a Tiziano Vecellio, Basilica dei Frari

Monumento a Canova, Basilica dei Frari
Sempre all’interno delle chiese troviamo un altro tipo di sepoltura a pavimento: in questo caso troviamo una lastra tombale lapidea o in altro materiale (ad esempio in bronzo come quella di Francesco Morosini nella chiesa di Santo Stefano nel sestiere di San Marco) che riveste parte della pavimentazione.

Francesco Morosini Lastra tombale, Chiesa di Santo Stefano
Che fossero monumenti funerari dalle considerevoli proporzioni o più semplici lastre tombali, il fatto stesso di essere sepolti all’interno di una chiesa divenne simbolo distintivo oltre che di privilegio, anche di rispettabilità e prestigio agli occhi della società veneziana: sempre più famiglie nobili ambivano ad uno spazio all’interno delle chiese per costruirvi un monumento funerario degno di nota, tanto che divenne parecchio costoso comprarsi tale diritto di sepoltura.
I borghesi che ambivano a tale privilegio ma che non avevano sufficiente denaro trovarono la soluzione iscrivendosi a confraternite che offrivano mutua assistenza ai membri, i quali – tutti assieme – potevano permettersi il prezzo di una cappella o del monumento dove avrebbero trovato riposo tutti assieme.
Per le chiese tutto ciò fu molto remunerativo perché i soldi raccolti venivano utilizzati per opere di ricostruzione, restauro o abbellimento.
C’era una seconda possibilità – come dicevamo prima – ed era una sepoltura al di fuori della chiesa a ridosso o nelle vicinanze dell’edificio religioso. Questo tipo di luogo era riservato alle classi meno abbienti: si trattava di piccole porzioni di terreno utilizzate per delle fosse comuni. Nel tempo nacque anche una toponomastica legata a questi spazi; è facile – infatti – imbattersi in nomi come “Campo Santo” oppure “calle dei morti”.
Un primo tentativo di allontanamento delle zone di sepoltura dal centro della città avvenne con la peste del 1348: il Maggior Consiglio propose come luoghi di sepoltura due isolotti della laguna veneziana; seppellendo i cadaveri lontano dalla città si cercava così di limitare la propagazione del morbo.
Ma si deve aspettare l’Editto di Saint Cloud del 12 giugno 1804, che impediva per questioni d’igiene la sepoltura dei defunti all’interno del centro abitato; ed ecco che tutti i cimiteri en plein air vennero chiusi anche a Venezia.
Ed ecco che arriviamo all’attuale cimitero nell’isola di San Michele, un’isola a metà cammino tra Venezia e l’isola di Murano. La sua conformazione attuale si deve alla fusione di due isolotti: San Cristoforo della Pace e San Michele. All’inizio era stata individuata come luogo di sepoltura l’isola di San Cristoforo della Pace e quando fu necessario ampliare gli spazi si decise di interrare il canale che divideva quest’isola da quella di San Michele.

Vista aerea di San Michele
L’isola di San Michele – conosciuta in passato come Cavana de Muran poiché fungeva da ricovero per le imbarcazioni dei muranesi – era già sede dal XIII secolo dell’ordine Camaldolese che creò un centro di rilievo culturale ospitando eminenti studiosi di teologia, libri di viaggi, lapidari, cosmografie arabe e cinesi. Secondo la tradizione San Romualdo, fondatore dell’ordine camaldolese, trascorse alcuni anni da eremita proprio su quest’isola. È sempre su quest’isolotto che visse Fra Mauro, noto geografo del XV secolo e costruttore del planisfero circolare raffigurante il mondo ed oggi conservato alla Biblioteca Nazionale Marciana, ed anche Fra Cappellari futuro papa Gregorio XVI.
Il laboratorio dei frati camaldolesi divenne noto anche per le preziose mappe nautiche che qui venivano realizzate, commissionate da veneziani e stranieri.
Verso la fine del XV secolo all’architetto Mauro Codussi venne commisionato il progetto di rinnovamento del monastero e delle fabbriche ad esso adiacenti. Il risultato fu la splendida chiesa dalle linee semplici, nitide ed armoniose che ne fecero la prima chiesa Rinascimento e che ancor oggi fa bella mostra di sè.

La facciata della chiesa di San Michele
Tra il 1523 e 1526 fu aggiunta al convento un’ala da adibire a foresteria e due anni più tardi si iniziò la costruzione della cappella Emiliana, edificata per volontà della vedova del patrizio Giovanni Emiliani.
Nel 1807 Napoleone – a seguito dell’Editto di Saint Cloud – decretò la costruzione di cimiteri lontani dalle zone urbane per ragioni di pubblica igiene, e destinò a questo scopo l’isola di San Michele. I frati abbandonarono l’isola per trasferirsi a San Gregorio di Celso a Roma, portandosi tutti gli archivi e la preziosa biblioteca composta da 180 mila volumi e 36 mila codici manoscritti.
In seguito il governo austriaco – dal 1817 al 1829 – utilizzò il monastero dell’isola come reclusorio per i prigionieri politici e dove transitarono Silvio Pellico e Pietro Maroncelli.
Dal 1829 il complesso è stato affidato alle cure dei Francescani e divenne parte integrante del cimitero di San Cristoforo, quando le due isole vennero unite.
L’isola è facilmente riconoscibile per il semplice muro perimetrale di mattoni rossi e pietra d’Istria e per i verdeggianti cipressi: al suo interno l’intera area si sviluppa a croce greca inserita in un quadrato, con una parte finale a forma ellittica; i viali alberati sono fiancheggiati da tombe di vario stile e forma, talvolta logorate dal tempo, dalle intemperie e dalla salsedine. I vari recinti della croce – catalogati secondo le cifre romane o le lettere dell’alfabeto – comunicano con la parte centrale e agli angoli di ognuno sono state erette piccole cappelle con loculi individuali incorporate nei muri di cinta. La parte terminale ovoidale accoglie le spoglia di ecclesiastici e religiose, mentre quello ad est è riservato ai militari caduti. La ricca vegetazione composta oltre che da cipressi anche da tassi, magnolie, allori, querce, aceri, roseti e siepi aggiunge ulteriore fascino, calma e serenità ad un luogo già di per sé tranquillo. A queste sezioni ne è stata aggiunta una in tempi più recenti (1998) ad opera dell’architetto britannico David Chipperfield e realizzata in cemento a vista di gusto prettamente moderno.

Isola di San Michele, vista del muro di cinta

Cimitero di San Michele, viale interno
Rimarrete stupiti scoprendo che questo cimitero monumentale non è solo il cimitero dei veneziani: è stato eletto come dimora eterna anche da molti personaggi famosi veneziani, italiani e stranieri. Sarà facile incontrare nel settore greco-ortodosso le tombe del compositore Igor Stravinskij e dell’ideatore dei Ballets Russes Sergej Diaghilev, mentre nel recinto evangelico sorge la tomba del poeta e premio nobel Josif A. Brodskij e poco lontano quella di un altro poeta, Ezra Pound. Troverete le sepolture del compositore Luigi Nono, del pittore Emilio Vedova e dello psichiatra Franco Basaglia, oppure la tomba dello scienziato austriaco Christian Doppler.

Tomba di Igor Stravinsky

Tomba di Sergej Diaghilev

Tomba di Ezra Pound
Una tomba in particolare vi stupirà: quella di Sonia Kaliensky.
Sonia era una ventiduenne nobildonna russa che – nel 1907 – giunse a Venezia durante i festeggiamenti del Carnevale e alloggiò presso il celebre Hotel Danieli a pochi passi da Piazza San Marco. Ma non prese mai parte alle celebrazioni e all’allegria che permeava la città, perché a causa di una delusione d’amore Sonia scelse di togliersi la vita ingerendo una dose letale di laudano. La famiglia di Sonia decise di far realizzare un monumento funebre in suo onore e di farla sepellire nel cimitero di San Michele. L’artista, Enrico Butti, creò un’urna di porfido con sopra adagiata, colta nel momento della morte, la figura a grandezza naturale e in bronzo della giovane nobildonna, vestita solo di una leggera camicia da notte.
Tra le persone colpite dalla triste storia che transitano c’è sempre qualcuno che lascia un fiore sulla sua tomba o che accarezza la mano della giovane.

Tomba Sonia Kaliensky, isola di San Michele
Ma c’è anche una tomba che racchiude un mistero da oltre 70 anni; dobbiamo spostarci nella sezione dedicata alle religiose dove si trova la tomba di Suor Vittoria Grigoris, del convento di San Francesco della Vigna morta nel 1947.
Al momento della sua morte, la monaca disse alle consorelle che, quando la sua tomba fosse stata aperta, la sua salma non sarebbe stata più ritrovata. E infatti al momento della riesumazione nella bara furono rinvenute soltanto le vesti e un rosario, ma nessuna traccia del corpo della suora….
Marta Gabassi
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